IL FREDDO DI NONNO RINALDO 

Un racconto tratto dal libro e dallo spettacolo “Mio nonno è morto in guerra” di Simone Cristicchi

Mio nonno si chiamava Rinaldo e, da quando l’ho conosciuto fino alla sua morte, mi ricordo che ha sempre avuto freddo, anche d’estate, seduto in terrazza sotto un raggio di sole. Tutti gli altri in canottiera e pantaloncini corti, lui con la coperta sulle gambe e un giacchetto sulle spalle. Certe sere si metteva vicino al termosifone della cucina e ripassava il natale del 1941, il natale che trascorse da soldato nella guerra in Russia: “Ci voleva coraggio a resistere in quel periodo, ché il freddo raggiungeva pure i 48 °C sotto zero!”.

Raccontava che, per ripararsi, lui e altri soldati cercavano un po’ di tepore dentro a una grotta, e al centro di questa grotta ci mettevano una grossa pietra, appoggiata sul fuoco che bruciava sempre. La pietra, oltre a riscaldare appena l’ambiente, aveva un’altra funzione importante. Siccome fare la cacca a quella temperatura era un problema, i soldati erano abituati a mangiarsi i semi di girasole, che aiutavano a espellere istantaneamente il “nemico”, perché là, in mezzo alla neve e ai ghiacci, a 48 °C sotto zero, non ti potevi mica permettere il lusso di essere stitico! Così, quando arrivava il momento fatidico, i soldati scattavano fuori, tutti imbacuccati, con la coperta sul capo e i pantaloni abbassati: la velocità dell’azione era fondamentale, tutto doveva svolgersi in dieci-quindici secondi al massimo. Poi rientravano di corsa nella grotta e, ancora coi pantaloni calati, appoggiavano le chiappe congelate su quella pietra incandescente.

Ecco perché mio nonno Rinaldo e tanti soldati italiani della campagna di Russia avevano una “mappa natica”, una serie di bruciature incallite sopra le chiappe.


 

« L’idea di ricercare e raccontare le storie minime dei protagonisti della Seconda guerra mondiale nasce da nonno Rinaldo e dal bisogno di colmare un grande silenzio: il silenzio di uomini e donne ammutoliti dal frastuono della Storia. Ma anche il silenzio di chi ha preferito tacere, per convenienza o per dimenticare un dolore inenarrabile. »

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Della sua compagnia che era composta da centocinquanta soldati, tutti romani, ne tornarono soltanto dieci. E io sono contento perché nonno Rinaldo era uno di loro. Rientrò a Roma con il grado di sergente maggiore, ottenuto per meriti di guerra e per il coraggio dimostrato nelle innumerevoli azioni pericolose, come la cacca in mezzo alla neve a 48 ° sotto zero.

Mi raccontava che, una volta sceso dal treno che lo aveva riportato in Italia, si sciolse le pezze, si tolse gli scarponi, e gli cascarono tutte e dieci le unghie dei piedi. Poi, nel giugno del 1943, sposò una donna bellissima che sembrava un’attrice: si chiamava Selene e gli rimase accanto per tutta la vita. Diceva sempre: “Dai retta a me, tua nonna Selene mi ha fregato perché ero ancora congelato!”.

Di mio nonno Rinaldo, da quando l’ho conosciuto fino alla sua morte, ricordo che ha sempre avuto freddo, anche ad agosto, imbevuto di sole in terrazza.
Forse era quel maledetto freddo, conosciuto tanti anni prima nella guerra in Russia, quel freddo che gli era entrato dentro alle ossa, e lui se lo portava appresso come un vecchio amico, fin dal natale del 1941.


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